lunedì 30 luglio 2018

Recensione "Il racconto dell'ancella" di Margaret Atwood

Buon pomeriggio lettori. Questa mattina, ed è stata davvero una tragica mattina, mi sono messa a terminare questo romanzo dalla disperazione. Era da troppo tempo sulla mia scrivania impaziente di essere finito. Che delusione! Non vi preannuncio altro, però preparatevi perché questa volta ho scritto davvero parecchio.



"Il racconto dell'ancella"
di Margaret Atwood


Editore: Ponte delle Grazie
€16,80 · 398 p.
Genere: fiction, classici, distopico
Trama: In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione. Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c'è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull'intreccio tra sessualità e politica. Quello che l'ancella racconta sta in un tempo di là da venire, ma interpella fortemente il presente.



Recensione

Le Ancelle non hanno libertà, non hanno possibilità di scelta; l'unico loro compito è quello di concepire, di portare a termine con successo una gravidanza e dare così alla luce un bambino. Per via delle radiazioni, la popolazione femminile è quasi totalmente sterile. È per questo che sono nate le Ancelle, per impedire alla razza di estinguersi. Ma per fino il loro corpo è proprietà di qualcun altro, figuriamoci gli ipotetici bambini. Loro lavorano per altri, per lo Stato, per Dio.
Difred, nome fittizio che è stato dato alla nostra protagonista una volta diventata Ancella, ha il compito di dare un bambino al Comandante e a sua moglie. Non ha altri compiti nella vita se non quella, non ha altre prospettive e non deve assolutamente fallire.

Prima che tutto questo ebbe inizio, che il mondo diventasse una specie di macchiana-sforna-bambini, Difred aveva una vita: un marito, una figlia, una gatta, un'appartamento, un lavoro, una madre. Ma alle donne non era più permesso avere queste futuli cose, distrazioni, peccati e tantazioni che potessero distrarle dal loro unico compito: la procreazione.
I Comandanti, o comunque l'élite della società, avevano il dovere e l'onore di portare avanti l'umanità, di ingravidare le Ancelle che andavano e venivano dalle loro dimore.

Questa distopia regala moltissimi punti di riflessione. A una lettura poco attenta potrà sembrare che solamente il mondo femminile è stato stravolto e reso schiavo, ma non è così. Le persone non d'élite sono state private di ogni cosa, perfino le Mogli dei Comandanti non sono libere e in qualche modo anche questi ultimi sembrano improgionati dentro a questa società malsana. Dove si potrebbe spingere l'uomo per sopravvievre, per far sopravvivere la razza? Basterebbe, sarebbe atroce, ma molto meno tragico, proibire i contraccettivi, l'aborto e via dicendo; ma no, perché è diventato anche importante il sangue. In qualche modo devi essere degno di poter avere un figlio e quindi questo esclude un semplice operaio, panettiere, cuoco, un maschio qualsiasi.
Non è importante chi fossero queste donne prima di diventare Ancelle, che avessero già dei figli o che fossero sposate. Da un certo punto in avanti si è come cancellato il passato, tutto è cambiato praticamente dal giorno alla notte. Non ci sono però solamenente la Ancelle, anzi di loro ce sono fontalmentalmente poche, ma tante altre costrette a un mondo di rinunce, di fede in Dio e di penitenza. La fede viene strumentalizzata per far tollerare tutto questo. Le donne tornano così ad essere madri e nient'altro, e gli uomini dominanti e padri.

Tutta via, nonostante queste incredibili premesse, "Il raccondo dell'ancella" non mi ha coinvolta, né appassionata, come speravo. La protagonista, la nostra Ancella, parla per tutte le pagine mischiando ricordi presenti e flashback del passato confondendo, almeno per quanto mi riguarda, la narrazione. A volte non capivo se stesse parlando di quello stava avvenendo o di un ricordo. Moltissime mie domande sulla società, sul perché di molte scelte radicali, sono rimaste senza risposta, ma non ho capito se è perché la stessa Difred non ha risposte (visto che noi vediamo tutto attraverso i suoi occhi) o se perché non era importante saperlo. Difred stessa l'ho trovata una persona poco interessante e simpatica; non è particolamente coraggiosa, non ha chissà che passato alle spalle, è una donna comune, ma forse fin troppo e ho sentito in lei la mancanza di qualcosa. Non è certamente un'eroina, cerca solamente di sopravvivere in un mondo che non le regala nulla, per cui non vale assolutamente la pena veder sorgere l'alba giorno dopo giorno. La società perversa che la Atwood descrive è incredibilmente crudere e terribile anche al solo pensiero, tuttavia le uniche cose interessanti del libro, quando finalemente si esce dalle sole descrizioni abbastanza ripetitive della quotidianità, accadono nelle ultime centocinquanta pagine.

«Noi abbiamo dato loro più di quanto non abbiamo tolto» dice il Comandante. «Pensate alla situazione in cui si trovavano prima, pensate ai bar per donne sole, all’indegnità degli appuntamenti a sorpresa. Era il mercato della carne. Non ricordate il terribile divario tra coloro che potevano avere un uomo facilmente e quelle per le quali era impossibile? Alcune di loro, prese dalla disperazione, deperivano per dimagrire, altre si gonfiavano i seni col silicone, altre ancora si facevano tagliare il naso. Quanta infelicità!»

Accenna, agitando una mano, a una pila di vecchie riviste.

«Si lamentavano sempre. Problemi qui, problemi là. Vi ricordate delle colonne di annunci personali? Vivace, graziosa, trentacinquenne… In questo modo un uomo lo trovavano, ma poi, se si sposavano, spesso restavano sole, con un figlio o due perché il marito, stanco di loro, scompariva, così che si trovavano costrette ad affidarsi alla pubblica assistenza. Oppure, se avevano un laboro, dovevano lasciare i figli al doposcuola o affidarli a qualche donna ignorante e brutale, che dovevano pagare loro stesse, sottraendo il denaro alle loro misere buste paga. Il denaro era l’unica misura del valore, per tutte, l’essere madri non dava diritto al rispetto. Non c’è da meravigliarsi quindi che stessero addirittura rinunciando alla maternità. Ora, invece, sono protette, possono adempiere in pace ai loro destini biologici, con pieno sostegno e incoraggiamento. Adesso, ditemi il vostro parere, siete persone intelligenti, vorrei capere che ne pesate. C’è qualche cosa che abbiamo trascurato?»


[…]

«Voglio che le donne siano vestite modestamente» dice il Comandate, «con pudore e sobrietà. Non voglio che abbiano i capelli intrecciati con oro, perle, o altri ornamenti costosi; i loro ornamenti, come si addice alle donne che hanno fede, siano le opere buone. La donna impari in silenzio con totale sottomissione». A questo punto il Comandante alza gli occhi a guardarci tutte. «Totale» ripete.


Volevo condivedere con voi queste due citazioni, estratte del libro, che ho trovato ben strutturate e di effetto. Sicuramente, anche solo tramite queste poche righe, vi farete un'idea di com'è la vita che viene descritta delle persone in questo libro e della scrittura della Atwood, che a tratti ho trovato troppo pensate. La storia è già difficile ha digerire, ma con questa scrittura legnosa lo è stato ancora di più, noiosa in certe punti.
Il finale mi ha lasciata particolarmente delusa. L'ho trovato frettoloso e poco in linea con tutto quello che succede precedentemente, con le scelte della stessa Ancella, che nelle ultime vicende mi è sembrata veramente una sprovvedura, una ragazzina spaventata quando ha più di trent'anni. Mi sono ritrovata confusa e il fatto che molte domande non abbiano avuto risposta mi infastidisce parecchio. Lei è l'unico personaggio presente, l'unico di cui sentiamo continuamente i pensieri e le paure, non conosciamo nessun altro, per cui trovandola poco accattivante e di rilievo, ha fatto perdere spessore alla trama. Mi aspettavo davvero tantissimo da questo romanzo, mia madre ad esempio lo ha adorato, io l'ho trovato con una grande storia di fondo, ma con purtroppo davvero poco in superficie.

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